Roberto Cossa

Una vita per il teatro e la democrazia in Argentina

Presentazione

PRIMA PARTE

 L’autore, l’intellettuale e l’impegno politico sociale

La vita

Roberto Cossa, chiamato dagli amici “Tito” è nato a Buenos Aires il 30 novembre del 1934 nel quartiere di Villa del Parque, tipico luogo della classe media di quegli anni. I suoi bisnonni erano tutti italiani, per parte paterna di probabili origini genovesi e per quella materna molisani. La madre era figlia di italiani di Casacalenda, provincia di Campobasso, il cui cognome era Polisena e Roberto ricorda molto bene il nonno materno perché viveva in casa con loro ed ebbe una certa influenza sulla sua fanciullezza.

Il padre era meccanico dentista e la madre casalinga. Erano tre fratelli, uno più grande di Roberto ed una sorella più piccola. La madre curava molto la famiglia, facendo sì che ricevessero sempre un’ottima cucina con un’alimentazione genuina, un letto caldo e tanto amore e tenerezza familiare. Era la tipica educazione ed influenza familiare italiana, con una zia materna, che per lui era quasi una seconda madre, dalla quale poi ereditò una certa influenza ideologica e culturale. Era maestra di scuola, laica, quasi agnostica e con simpatie per il socialismo. Anche il padre era socialista, non secondo i canoni marxisti di allora, ma laico e solidale e nutriva una forte ammirazione per un dirigente socialista di quell’epoca: Alfredo Palacios, un’emblema, onesto promotore di molte leggi a favore degli operai e lavoratori, che successivamente sarebbero applicate, anche se parzialmente e paradossalmente, sotto il peronismo. Cosicché Roberto è cresciuto in questa famiglia antiperonista, dove il nome Perón era considerato quasi una bestemmia. Ha sempre frequentato scuole statali e dopo le superiori si iscrisse all’Università, a Medicina, anche per assecondare le forti pressioni di una famiglia molto tradizionale, che credeva nella formazione universitaria seria e rigorosa. Ma la sua vera passione e vocazione era il teatro. La cosa era considerata dai familiari “non buona” e vista di malocchio perché già due zii di Roberto erano attori e vivevano sempre fuori casa, soprattutto di notte, frequentando quell’ambiente teatrale e segmento di società movimentata, cioè la farandula, che per i più anziani era “a forte rischio”. La bella fanciullezza, la felicità, con molti amici e l’assoluta mancanza di problemi giovanili ed economici furono bruscamente interrotti dalla prematura morte del padre, che segnò fortemente questo periodo, accelerando le sue scelte per il futuro. Così, dopo i vent’anni, fatto il servizio militare si mise subito a lavorare nel giornalismo e cominciò anche la sua attività nel teatro.

L’impegno giornalistico fu molto lungo ed intenso, ha lavorato per tre importanti quotidiani di Buenos Aires (Clarín, La Opinión e El Cronista Comercial) e svolto anche l’attività di corrispondente dell’Agenzia di Notizie Cubana Prensa Latina (di cui dieci anni, passati in completa clandestinità). Lavorando duramente fino a notte fonda, non ebbe abbastanza tempo per dedicarsi al teatro, sua prima passione. Così la prima opera è arrivata un pò tardi, a ventott’anni, con “Nuestro fin de semana”(Il nostro fine settimana). Già la prima circolazione dell’opera provocò una positiva e gran ripercussione nel mondo teatrale di allora e rappresentò il momento di svolta per la sua lunga e costante carriera nel teatro che, dopo l’abbandono del giornalismo nel 1976, è diventata l’attività fondamentale, con un gran successo, che tuttora perdura.

Roberto Cossa allo specchio

Roberto, il grande drammaturgo,

  1. Si descrive come un “attore frustrato”. Iniziò a recitare a diciassette anni in un teatro di quartiere a San Isidro, vicino a Buenos Aires ma abbandonò quasi subito per cominciare a scrivere. Infatti, dice: “Molte volte mi sono chiesto cosa mi sia successo con la recitazione, ma credo che non mi sentissi sicuro e non ho avuto l’intuizione e la lucidità di mettermi seriamente a studiare”.
  2. Si definisce socialista ed ammiratore della Rivoluzione Cubana: ”Un uomo nato negli anni trenta a Buenos Aires, appassionato di teatro, molto portegno ma con grande interesse per tutto ciò che avviene nel mondo. Un socialista impenitente, del socialismo del Che e non quello di Felipe Gonzáles”.
  3. Dichiara: “Io non parlo lingue straniere. Quando mi servo di una lingua diversa dal “castellano” utilizzo il “cocoliche”, cioè l’idioma dei miei nonni”.